Notiziario delle recenti pronunce di rilievo in materia di licenziamento nell’ambito della giurisprudenza della suprema Corte di cassazione - 6/2024

Segnaliamo recenti pronunce della Cassazione in materia di licenziamento, al fine di informare le imprese associate circa gli orientamenti giurisprudenziali e gli esiti delle impugnative, fermo che è sempre attivo il nostro servizio sindacale, telefonico e su appuntamento, per supportare il datore di lavoro nelle eventuali procedure di licenziamento individuale o collettivo.

Suggerimento n.321/65 del 27 giugno 2024


CASSAZIONE CIVILE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA N. 14316 DEL 22.05.2024 - ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE DISABILE PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO SE IL DATORE DI LAVORO NON DIMOSTRA DI AVER ADOTTATO UNA SERIE DI MISURE ADATTE A PREVENIRE FORME DI DISCRIMINAZIONE INDIRETTA

Un dipendente di Poste Italiane Spa ha impugnato giudizialmente il proprio licenziamento per superamento del periodo di comporto adducendone la nullità, in quanto discriminatorio ex art. 2 D.lgs. n. 216/2003, in virtù della riconducibilità delle assenze poste alla base dello stesso ad una condizione di handicap (accertata dall’INPS) senza connotazione di gravità, per alcune patologie, tra cui la depressione con comportamento psicotico in terapia con neurolettici;

Condizione che, peraltro, si è sviluppata a seguito di un infortunio sul lavoro (consistito in un’aggressione subita dallo stesso da parte del destinatario di una notifica di un atto).

Sia il Tribunale di Nocera inferiore che la Corte d’Appello di Salerno, aditi dal lavoratore, non hanno accolto le sue doglianze ed hanno ritenuto legittimo il licenziamento intimato dalla società.

In particolare, a fondamento della propria decisione la Corte d’appello ha sottolineato che:

  • la discriminazione - quantunque indiretta - non opera oggettivamente ma presuppone “la conoscenza della condizione di handicap da parte del datore di lavoro”;
  • non vi è un obbligo in capo al lavoratore di comunicare quali assenze sono riconducibili alla sua condizione di handicap;
  • non vi è alcun obbligo per il datore di lavoro, stante l’oggettiva impossibilità, di controllare il nesso causale tra le assenze e lo stato di handicap; fatto salvo il caso in cui nei certificati medici di malattia venga barrata la casella corrispondente alla connessione tra lo stato patologico e la situazione di invalidità.

Proposto ricorso per Cassazione, la Suprema corte con la sentenza in commento ha accolto alcuni motivi di ricorso proposti dal lavoratore e cassato la decisione del Giudice d’appello con rinvio, statuendo che nel caso de quo risulta integrata la fattispecie del licenziamento discriminatorio (per discriminazione indiretta), nullo, in virtù delle seguenti ragioni:

  • La discriminazione indiretta, a norma del D.lgs. n. 216/2003 e della Direttiva 2000/78/CE, si ha quando un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri di fatto sfavoriscono un determinato gruppo di persone.Ciò che rileva è l'effetto discriminatorio e non la condotta (come invece avviene per la discriminazione diretta) a prescindere quindi dal requisito della colpevolezza quale elemento costitutivo della responsabilità da comportamento discriminatorio.
  • Per la medesima Direttiva, può assumere rilevanza esimente che il datore di lavoro fornisca la prova di non aver avuto conoscenza - o conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza - dello stato di handicap del lavoratore, ai fini poter adottare, come d’obbligo, accomodamenti ragionevoli per salvaguardare il posto di lavoro della persona portatrice di handicap, salvo che richiedano oneri finanziari sproporzionati.
  • Ne consegue che possono enuclearsi due ipotesi di responsabilità del datore di lavoro, in caso di licenziamento del disabile per superamento del periodo di comporto: quella in cui il datore di lavoro abbia colpevolmente ignorato la disabilità del dipendente e quella in cui la necessità di protezione del lavoratore portatore di handicap, pur non risultando espressamente al datore di lavoro, avrebbe potuto essere ritenuta reale secondo un comportamento improntato a diligenza.
  • In entrambi i casi, per il datore di lavoro prima di adottare un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto, sorge l’onere di acquisire informazioni circa la eventualità che le assenze siano connesse ad uno stato di disabilità, per valutare, quindi, gli elementi utili ad individuare eventuali accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso dal rapporto (Cfr. Cass. n. 11731/2024, par. 7.2), come ad esempio un allungamento del periodo di comporto ex art. 2110, comma 2, c.c. o l'espunzione dal comporto di periodi di malattia connessi allo stato di disabilità.
  • Il datore di Lavoro deve attivamente cercare l’interlocuzione ed il confronto con il lavoratore al fine di adottare gli accomodamenti ragionevoli a consentire lo svolgimento di un'attività lavorativa al disabile.

  • Nel caso di specie, è di piena evidenza che il datore di lavoro fosse a conoscenza di un serio infortunio sul lavoro patito dal lavoratore (tanto è che aveva modificato le mansioni assegnate) nonché di un andamento delle assenze per malattia sicuramente anomalo e sintomatico di una patologia non ordinaria.Per una corretta applicazione delle norme in materia e dei principi sopra citati, il datore di lavoro avrebbe dovuto interloquire con il lavoratore ai fini di acquisire i necessari chiarimenti in ordine alle assenze effettuate, non essendo sufficiente che il dipendente non avesse segnalato un collegamento tra la sua patologia e le sue assenze, per ritenere giustificata l'omessa conoscenza della disabilità da parte datoriale.

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