Urban foro: ristrutturazione edilizia ricostruttiva
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70/2020, interviene sul tema della ristrutturazione edilizia ricostruttiva, affermando che le Regioni non possono derogare alle norme statali in tema di interventi edilizi.
Importante | Suggerimento n. 392/27 del 14 maggio 2020
Con la sentenza n. 70 depositata il 24 aprile 2020, la Corte Costituzionale ha sottolineato che la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile mediante la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è ammissibile purché siano rispettati il volume e l'area di sedime del manufatto originario, nonché, limitatamente ai fabbricati vincolati, anche la sagoma.
I Giudici hanno esaminato la legittimità costituzionale dell’art. 2 della l.r. della Puglia n. 59/2018, che interpreta il Piano Casa (l.r. 14/2009) e della conseguente modifica introdotta dall’art. 7 della l.r. della Puglia n. 5/2019, che ammette la ricostruzione di uno o più edifici demoliti, con una diversa sistemazione planivolumetrica o con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell'area di pertinenza.
Il Governo ha impugnato tali leggi, sostenendo che non hanno un carattere interpretativo, ma una valenza innovativa, poiché introducono una deroga volumetrica ex lege agli strumenti urbanistici per le ristrutturazioni, che supera i limiti originari del Piano Casa del 2009 e quindi lede i principi di ragionevolezza, coerenza e certezza del diritto.
Al momento della prima adozione del Piano Casa da parte delle Regioni, era ammissibile una modifica dell’area di sedime nella ricostruzione degli edifici demoliti, poiché il D.P.R. 380/2001 richiedeva, per la ristrutturazione ricostruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma.
Allo stato attuale, invece, come affermato dalla Corte Costituzionale, la disposizione normativa della l.r. Puglia n. 5/2019 è da considerarsi illegittima, perché ammette la riedificazione in una diversa area di sedime ed quindi è in contrasto con le vigenti regole del Testo Unico per l’Edilizia (D.P.R. 380/2001), come modificate dal Decreto “Sblocca-Cantieri” (legge 55/2019), secondo cui gli interventi di demolizione e ricostruzione devono essere realizzati in coincidenza dell’area di sedime, oltre che nel rispetto della volumetria del fabbricato preesistente.
Per motivare la propria decisione, la Corte Costituzionale ripercorre nella sentenza le modifiche alla nozione di ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione del Testo Unico dell’Edilizia.
In origine, nel D.P.R. 380/2001, un intervento edilizio, per essere inquadrato come ristrutturazione edilizia e non come nuova costruzione, doveva consistere nella fedele ricostruzione dell’edificio preesistente, con mantenimento dell’identità di sagoma e di volume, dell’area di sedime e delle caratteristiche dei materiali.
Successivamente, la definizione di ristrutturazione edilizia è stato modificata dal d.lgs 301/2002, che ha eliminato il requisito del rispetto dell’area di sedime e delle caratteristiche dei materiali e anche dal Decreto del Fare (legge 98/2013), che ha tolto il limite del mantenimento della sagoma, stabilendo il rispetto di quest’ultima solo nel caso di interventi su edifici vincolati.
Il legislatore statale, come affermato nella sentenza, ha dunque progressivamente ampliato la nozione della ristrutturazione edilizia ricostruttiva, sino al 2019, quando, con il Decreto Sblocca Cantieri (legge 55/2019), ha reintrodotto il requisito della coincidenza dell’area di sedime per gli interventi di demolizione e ricostruzione.
In ragione di ciò, la Corte Costituzionale ha giudicato illegittima la l.r. della Puglia a modifica del Piano Casa del 2009 e ha affermato che le Regioni non possono derogare alla disciplina statale, che ammette la ristrutturazione edilizia ricostruttiva solo nel rispetto del volume e dell’area di sedime del manufatto originario.