Notiziario delle recenti pronunce di rilievo in materia di diritto del lavoro - 4/2025

Licenziamento per mancato superamento della prova: in assenza di un valido patto è illegittimo per insussistenza del fatto.

Suggerimento n. 465/89 del 29 settembre 2025


CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - SENTENZA N. 24201/2025 - LA NULLITA’ DEL PATTO DI PROVA PER “VIZIO GENETICO” COMPORTA L’ILLEGITTIMITA’ DEL LICENZIAMENTO AD NUTUM DEL LAVORATORE

Una lavoratrice è stata assunta a tempo indeterminato, con contratto a tutele crescenti (ai sensi del d.lgs. n. 23/2015) da un datore di lavoro con oltre 15 dipendenti, in data 11/12/2017.

Nel contratto di assunzione è stato inserito un patto di prova della durata di sei mesi.

In data 24/5/2018 la lavoratrice è stata licenziata “per mancato superamento del periodo di prova”.

La lavoratrice ha impugnato il licenziamento innanzi al Tribunale di Venezia, deducendone l’illegittimità per nullità del patto di prova - poiché privo della descrizione delle mansioni oggetto di prova - e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro nonché la condanna del datore al pagamento dell’indennità risarcitoria ratione temporis applicabile.

Il giudice di primo grado ha rigettato il ricorso, ritenendo legittimo il licenziamento.

Avverso la sentenza di primo grado, la lavoratrice ha proposto appello innanzi alla Corte d’appello di Venezia che, riformando la decisione impugnata, ha dichiarato nullo il patto di prova stipulato tra le parti in quanto privo dell’indicazione - “neppure in forma minimale” - delle mansioni oggetto di prova e, per l’effetto, ha condannato il datore alla reintegrazione della dipendente, applicando altresì la tutela risarcitoria prevista nei casi di insussistenza del fatto materiale posto a base del licenziamento (ex art. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015).

Il datore di lavoro ha impugnato tale sentenza innanzi alla Corte di cassazione, deducendo, tra l’altro, l’erroneità dell’applicazione da parte della Corte territoriale - “in conseguenza della rilevata nullità del patto di prova, in una fattispecie di contratto a tutele crescenti” - della tutela reintegratoria e risarcitoria di cui all’art. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015, in luogo della sola tutela indennitaria ex art. 3, co. 1, d.lgs. n. 23/2015.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, offrendo una ricostruzione sistematica della fattispecie, partendo dalla nullità “genetica” del patto di prova, per cui, in presenza di vizi originari del patto - mancata forma scritta anteriore o contestuale all’inizio del rapporto, ovvero omessa specificazione delle mansioni oggetto di prova - lo stesso è affetto da nullità parziale ex art. 1419, co. 2, c.c., con la conseguente conversione dell’assunzione in definitiva ab origine e relativa esclusione del regime della libera recedibilità ex art. 1, l. n. 604/1966.

Ne deriva, quindi, che il recesso datoriale motivato dal preteso “mancato superamento” della prova si riqualifica in licenziamento individuale ordinario, soggetto al sindacato giudiziale sulla giusta causa o sul giustificato motivo e ai correlati requisiti di legittimità ed efficacia.

Muovendo da ciò, la Suprema Corte ha affrontato il tema del regime sanzionatorio applicabile, rilevando che:

  • l’ultimo approdo giurisprudenziale, che aveva ricondotto la fattispecie alla tutela indennitaria di cui all’art. 3, co. 1, d.lgs. n. 23/2015 (con esclusione della reintegra ex co. 2), deve essere rivisto alla luce dei principi enunciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 128/2024. Tale pronuncia, nel riallineare le tutele per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, da un lato, e per giustificato motivo soggettivo o privi di giusta causa, dall’altro, consente di qualificare il recesso disposto per mancato superamento di un patto di prova geneticamente nullo come ipotesi di licenziamento privo di giustificazione per insussistenza del fatto, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 3, co. 2, d.lgs. n. 23/2015, come costituzionalmente interpretato. In altri termini, “il mancato superamento di una prova che non esiste è, in sostanza, una chiara ipotesi di insussistenza del fatto materiale, perché manca l’esistenza del fatto posto a fondamento della ragione giustificatrice”;
  • tale ricostruzione è coerente con quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 125/2022, che esclude qualsivoglia graduazione - in chiave fenomenica - della “sussistenza del fatto”: “se non esiste un valido patto di prova, viene a mancare la necessaria “giustificatezza” de licenziamento in quanto resta un recesso privo di giustificazione; esso, pertanto, si traduce in un licenziamento ad nutum perché svincolato totalmente dal fatto (insussistente) posto alla base di esso”.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha confermato la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Venezia in quanto “in linea, nel risultato a cui è pervenuta, con i suddetti principi”.

Sul punto, la Suprema Corte ha poi enunciato la seguente massima giurisprudenziale: In caso di nullità del patto di prova, il contratto di lavoro deve essere considerato definitivo sin dall’inizio, e il recesso del datore di lavoro per mancato superamento della prova è soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, applicandosi la disciplina limitativa dei licenziamenti prevista per legge”.

Ricordiamo alle imprese associate che Assimpredil ANCE offre assistenza nella predisposizione dei contratti di lavoro e delle relative clausole, ivi compresa quella sul periodo di prova, la cui durata è stabilita dal CCNL e, per i contratti a termine, anche dal d.lgs. n. 104/2022.

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