Diamo notizia di alcune pronunce di rilievo in materia di licenziamento nell’ambito della recente giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione - 1/2023

Inauguriamo una nuova rubrica, nella quale segnaleremo alcune pronunce della Cassazione in materia di licenziamento, al fine di informare le imprese associate circa gli orientamenti giurisprudenziali e gli esiti delle impugnative, fermo che è sempre attivo il nostro servizio sindacale, telefonico e su appuntamento, per supportare il datore di lavoro nelle eventuali procedure di licenziamento individuale o collettivo.

Suggerimento n. 463/89 del 5 ottobre 2023


CASSAZIONE CIVILE - SEZIONE LAVORO - ORDINANZA N. 7467 DEL 15 MARZO 2023 - LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - IMMEDIATEZZA DELLA CONTESTAZIONE

Un lavoratore è stato licenziato per motivi disciplinari nel mese di febbraio 2017, avendo utilizzato la carta carburante aziendale per scopi estranei al rapporto di lavoro nel corso degli anni 2015 e 2016.

Durante tali anni, il lavoratore ha inviato al datore di lavoro - con cadenza mensile - i giustificativi relativi all’utilizzo della carta carburante aziendale ed il datore di lavoro non gli ha mai contestato alcunché.

Il lavoratore licenziato per questa ragione ha impugnato il licenziamento avanti al Tribunale di Milano, sostenendone l’illegittimità, in quanto la contestazione dei fatti posti alla base del licenziamento è stata effettuata tardivamente rispetto al loro accadimento.

Il datore di lavoro si è costituito in giudizio, sostenendo di essersi avveduto dell’accadimento di tali fatti disciplinarmente rilevanti esclusivamente nel mese di gennaio 2017 in occasione della verifica dei conti per la chiusura del bilancio dell’anno 2016.

Il Tribunale di Milano (1° grado) ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore, argomentando che il datore di lavoro, avendo ricevuto con cadenza mensile i giustificativi relativi all’utilizzo della carta carburante aziendale, avrebbe potuto svolgere dei controlli tempestivi sugli stessi e conseguentemente contestare tempestivamente le eventuali irregolarità riscontrate.

La Corte di Appello di Milano all’esito del giudizio (2° grado), ha dichiarato viceversa la legittimità del licenziamento, argomentando che l’immediatezza della contestazione disciplinare non deve essere considerata rispetto al momento in cui i fatti contestati sono accaduti, bensì al momento in cui il datore di lavoro ne ha avuto conoscenza; nel caso di specie tale conoscenza è intervenuta solo ed esclusivamente in fase di controllo dei conti per la redazione del bilancio dell’anno 2016.

Tale decisione è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione (3° grado) che, con ordinanza, ha dichiarato la legittimità del licenziamento argomentando che:

  • l’“immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, […] va intesa in senso relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità dell’accertamento della condotta del dipendente oppure per l’esistenza di una articolata organizzazione aziendale”;
  • il rapporto di lavoro subordinato ha carattere fiduciario ed il datore di lavoro ha il potere e non l’obbligo di controllare continuamente i propri dipendenti; ne consegue che "la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione, ove avesse controllato assiduamente l'operato del dipendente, ma con riguardo all'epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza. Di fatti, l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente non può tradursi in danno del datore di lavoro".

Nel caso di specie, quindi, se è vero che il datore di lavoro ha ricevuto con cadenza mensile i giustificativi circa l’uso della carta carburante aziendale è anche vero che non era obbligato a controllarli mese su mese e a contestare immediatamente eventuali comportamenti scorretti, perché ciò farebbe venire meno il carattere fiduciario del rapporto di lavoro subordinato. Lo ha fatto comunque in un tempo ragionevole senza compromettere quella immediatezza che è necessariamente da osservare nel caso della contestazione disciplinare che conduce legittimamente al licenziamento.

 

CASSAZIONE CIVILE, SEZIONE LAVORO, ORDINANZA N. 26043 DEL 7 SETTEMBRE 2023 - LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - IMMUTABILITA’ DELLA CONTESTAZIONE

Un lavoratore è stato licenziato per motivi disciplinari per essersi rifiutato di sottoscrivere un ordine di servizio ed aver aggredito verbalmente i responsabili, con ingiurie e minacce.

Il datore di lavoro, alla stregua del CCNL applicato (Pulizie e multiservizi), ha inizialmente contestato al lavoratore la fattispecie della grave insubordinazione, ma poi ha intimato il licenziamento disciplinare per la diversa fattispecie della rissa sul luogo di lavoro.

Il lavoratore ha impugnato giudizialmente il licenziamento disciplinare, sostenendone l’illegittimità, in virtù dell’asserita violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare (essendo passata da grave insubordinazione prima a rissa sul luogo di lavoro poi).

Il Tribunale di Foggia (1° grado) ha confermato la legittimità del licenziamento e così ha fatto anche la Corte di Appello di Bari (2° grado).

La Corte di Cassazione (3° grado) ha confermato anch’essa la legittimità del licenziamento argomentando che:

  • il principio di necessaria corrispondenza tra l’addebito contestato e l’addebito posto alla base del licenziamento, che vieta di infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati, si ritiene violato esclusivamente nelle ipotesi in cui il licenziamento presuppone circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate”, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell’incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda semplicemente ad una diversa qualificazione o apprezzamento del medesimo fatto;
  • nel caso in esame, non sono mutati i fatti posti alla base del licenziamento ma, semplicemente, il datore di lavoro li ha riqualificati legittimamente quali “rissa”, in quanto questa fattispecie (in seno al diritto civile) individua “una contesa, anche tra due sole persone, idonea a determinare, per le modalità dell'azione e per la sua capacità espansiva, una situazione di pericolo per i protagonisti e per altre persone e, comunque, ove la lite si svolga nel contesto lavorativo, un grave turbamento del normale svolgimento”.

Nel caso di specie, quindi, il datore di lavoro non ha violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare e non ha leso il diritto di difesa del lavoratore, non essendoci stata alcuna contestazione di nuovi o diversi fatti al lavoratore al momento del licenziamento. A mutare è stata la qualificazione e l’apprezzamento che il datore di lavoro ha attribuito a quegli stessi fatti (prima ritenuti rientranti nella fattispecie della grave insubordinazione e poi nella fattispecie della rissa); qualificazione che si è ritenuta corretta alla luce della definizione “civilistica” di rissa, che è sufficientemente ampia da ricomprendere anche i fatti inizialmente contestati al lavoratore come “grave insubordinazione”.

 


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