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WHITE LIST

ATTIVITÀ A RISCHIO INFILTRAZIONE MAFIOSA: IN AMBITO PUBBLICO ANCHE IL SUBCONTRAENTE DEVE ESSERE VERIFICATO. MA QUALI SONO, SE VI SONO, GLI STRUMENTI NEL SETTORE PRIVATO?


Nell’ambito dei lavori pubblici, vi sono dei settori identificati dal Legislatore più sensibili, giacché maggiormente esposti alle "mire" della mafia: dai servizi ambientali ai noli a caldo, dalla gestione rifiuti alle forniture di ferro e calcestruzzo.
Si tratta delle attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa, per affidare le quali la stazione appaltante deve verificare l’avvenuta iscrizione dell’impresa esecutrice nelle cosiddette white list anche del subcontraente, diverso dal subappaltatore.

Lo ha chiarito di recente il MIT (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) rispondendo con il parere n. 2273 attraverso il proprio servizio di supporto giuridico.
L’amministrazione, nel porre il quesito, ricapitola la disciplina applicabile e ricorda innanzitutto che l’art.1 comma 52 della L. 190/2012 prevede che per le attività imprenditoriali maggiormente esposte a tentativo di infiltrazione mafiosa elencate al successivo comma 53, la comunicazione e l’informazione antimafia è obbligatoriamente acquisita dalle stazioni appaltanti attraverso la consultazione dell’elenco istituito presso ogni prefettura.
L’acquisizione della documentazione antimafia di cui all’articolo 84 deve essere effettuata prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti previsti dalla legge, tranne che per atti e contratti il cui valore complessivo non superi i 150 mila euro.

Le norme prevedono un obbligo di verifica dell’iscrizione alla white list prima della stipula, dell’approvazione o dell’autorizzazione di contratti e subcontratti. Tuttavia, i subcontratti diversi dal subappalto non prevedono alcuna stipula da parte dell’amministrazione e, peraltro, non sono soggetti né ad approvazione né ad autorizzazione ma a mera comunicazione da parte dell’operatore economico. Da qui sorge il quesito riscontrato dal MIT, a cui è stato chiesto di chiarire se, in caso di subcontratti diversi dal subappalto, qualora l’oggetto del subcontratto preveda la realizzazione di alcune delle attività di cui all’art. 1, commi 53 e 54, della legge 190/2012, non vi sia alcun obbligo specifico di verifica da parte della stazione appaltante.

Al riguardo il Ministero ha precisato che se l’oggetto del subcontratto rientra fra le attività di cui all’art. 1, commi 53 e 54, della legge 6 novembre 2012, n. 190, «dovrà essere provata l’iscrizione del subcontraente nella white list tenuta ai sensi del D.P.C.M. 18/04/2013 presso la competente Prefettura-Ufficio del Governo, indicandone gli estremi al fine di consentirne la verifica. Pertanto, l’obbligo sussiste anche in tale caso».

Se nell’ambito pubblico gli strumenti di verifica e tutela rispetto alle infiltrazioni criminali esistono e sono validamente attuati, ciò non si può dire nel settore privato.

Infatti, non esiste con riferimento ai rapporti tra privati una previsione analoga all’ art. 83 del Codice Antimafia (D.Lgs 159/2011), che impone appunto alla P.A. l’acquisizione della documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e i subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubbliche.

Di più: il diritto vigente non ammette, né sul piano soggettivo, che la richiesta di verifica antimafia possa provenire da privati, né tantomeno, sul piano oggettivo, che una analoga richiesta possa essere presentata con riferimento ai rapporti fra privati.

Sul punto, il Consiglio di Stato, Sez. III (sentenza del 20 giugno 2020, n. 452) ha posto al Legislatore un interrogativo sull’adeguatezza della legislazione antimafia osservando che: “L’infiltrazione mafiosa è una forma di iniziativa economica che contrasta e danneggia sicurezza, libertà e dignità umana (art. 41 Cost.) e dunque non si capisce perché la prevenzione non debba valere solo perché il privato contaminato non ha rapporti con la pubblica amministrazione”.

Si lamenta la mancata copertura dei casi in cui il privato opera sul mercato, nei rapporti con altri privati, senza neppure la possibilità che nei suoi confronti vengano richiesti al Prefetto elementi informativi antimafia.

Di fatto, dall’abolizione del camerale con dicitura antimafia, risalente a oltre 10 anni fa, il settore privato si trova senza strumenti concreti per poter verificare l’integrità e la regolarità degli operatori della filiera. Ciò vale in modo particolare per il nostro settore, nell’ambito del quale sono molte le attività a rischio infiltrazione mafiosa.

Proprio per questo, il sistema ANCE ha sfruttato l’assist del Legislatore, che recependo le istanze del Consiglio di Stato, ha modificato l’articolo 83 bis del Codice Antimafia, mettendo a segno un punto importante a favore del contrasto all’attività criminale organizzata anche nell’ambito del sistema privato.

In forza della norma richiamata, il Ministero dell’Interno può, infatti, sottoscrivere protocolli per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata, anche allo scopo di estendere convenzionalmente il ricorso alla documentazione antimafia di cui all'articolo 84 ed il Protocollo ANCE-Ministero dell’Interno è stato il primo ad essere concluso a seguito dell’introduzione nel Codice Antimafia dell’art. 83 bis.

In forza di quest’ultimo strumento, in particolare, è previsto che, attraverso le Associazioni territoriali, le imprese associate possano acquisire la documentazione antimafia per i propri subappaltatori e fornitori nei settori maggiormente esposti al rischio di infiltrazioni mafiose, tramite consultazione delle white list, dell’anagrafe antimafia ovvero della Banca dati unica antimafia (BDNA).

Il Protocollo, siglato il 4 agosto 2021, mira a rafforzare la prevenzione dei tentativi di infiltrazione criminale nei rapporti fra privati, nei contratti tra le imprese associate e la loro filiera (fornitori/subappaltatori) elevando il livello di attenzione sulle attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa nel settore dell’edilizia.

Naturalmente le singole imprese associate ad ANCE svolgono un ruolo fondamentale: l’adesione massiva al Protocollo avrebbe l’effetto virtuoso di promuovere la trasparenza e legalità nel settore edile, garantendo il controllo di tutta la filiera ed estendendo anche in ambito privato gli effetti della prevenzione amministrativa antimafia, che rappresenta uno dei pilastri dell'azione che lo Stato porta avanti contro la criminalità organizzata.

Sara Acerbi – Assimpredil Ance

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