Urban Foro – Illegittimità nell’annullamento di una sanatoria

L’annullamento di un titolo edilizio in sanatoria a distanza di anni dal rilascio deve esser motivato anche da ragioni differenti dal ripristino della legalità

Suggerimento n.107/19 del 16 febbraio 2017


Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza 27 gennaio 2017, n. 341, ha affermato che non è annullabile un titolo edilizio in sanatoria decorsi oltre 13 anni dal rilascio, poiché l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo deve essere integrato da ragioni differenti rispetto alla mera esigenza di ripristino della legalità.

Nella sentenza si sottolinea che l'esercizio del potere di autotutela, regolato dall’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, presuppone l’esistenza, oltre che della condizione di illegittimità dell’atto oggetto della decisione di autotutela, anche di ulteriori presupposti, quali: la ragionevolezza del termine entro il quale può essere adottato l'atto di autotutela, fermo restando l'obbligo dell'Amministrazione di ricercare il giusto equilibrio tra “il ripristino della legalità e gli interessi dei destinatari dell'atto alla sua conservazione”.

 

Si tratta di esigenze recentemente rafforzate con l’introduzione del termine massimo di 18 mesi per l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori, previsto dal cosiddetto Decreto Sblocca Italia (legge 11 novembre 2014, n. 164), che ha definito, sulla base di quanto affermato dal Consiglio di Stato, “una riconfigurazione del potere di autotutela secondo i canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti per le posizioni private originate da atti ampliativi”.

 

Il Consiglio di Stato ha riformato la sentenza 19 maggio 2015, n. 2791, con cui il T.A.R. Campania, sede di Napoli aveva respinto il ricorso proposto contro il provvedimento datato luglio 2014, relativo all’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia in sanatoria rilasciata nel marzo 2001, giustificato con la realizzazione di opere in difformità non rispondenti alla normativa sulle distanze tra gli edifici, di cui al D.m. 1444/1968.

 

Nella sentenza è stato altresì chiarito che il “termine ragionevole” per l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione, come definito dalla legge 241/1990 prima della modifica introdotta dal Decreto Sblocca Italia, è da interpretare con rigore quando il potere di autotutela è esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche o economiche. A ciò consegue che “pur non potendo ritenersi consumato, il potere di annullamento d’ufficio decorso il termine massimo stabilito dal legislatore del 2015, è da giudicarsi irragionevole un periodo notevolmente superiore (nel caso trattato, di oltre sette volte) a quest’ultimo”.

 

Sulla base di quanto affermato dal Consiglio di Stato, precisando il termine massimo per l’esercizio del potere di autotutela decisoria, “il legislatore ha inteso accordare una tutela più pregnante alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche prodotte dagli atti autorizzati, costruendo un regime che ne garantisca l’intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento d’ufficio”. Tali atti diventano, così, non più rimuovibili dall’Amministrazione, anche quando illegittimamente adottati.

L’interesse pubblico che giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo deve consistere nell’esigenza che tale atto cessi di produrre i suoi effetti, poiché confliggenti con la protezione di valori pubblici. Tali valori devono risultare motivatamente e a tutti gli effetti prevalenti sull’interesse privato a conservare l’utilità prodotta da un atto illegittimo.

A ciò consegue che il Comune avrebbe dovuto giustificare la misura di autotutela, accompagnando il provvedimento con una motivazione “particolarmente convincente”, valutando gli interessi confliggenti secondo i criteri di proporzionalità e ragionevolezza, senza limitarsi a sostenere le esigenze di tutela sottese al d.m. 1444/1968.


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Tags: Edilizia